La guerra tra Ucraina e Russia si è inserita repentinamente in un contesto di relazioni mondiali estremamente complesso, con possibili impatti sia sui prezzi delle materie prime che di conseguenza sui costi di produzione, in uno scenario globale contraddistinto già da tempo da rialzi record riconducibili a un insieme di fattori di natura congiunturale, strutturale, geopolitica e speculativa.

Non solo carburanti, il prezzo del grano per il pane è balzato del 53% dopo un mese di guerra in Ucraina, ma ad aumentare del 30% è stata anche la soia e dell’11% il prezzo del mais e del 6% destinati all’alimentazione degli animali negli allevamenti.

Figura 1: Evoluzione del prezzo della granella di frumento duro (euro/ton). Fonte: ISMEA
Figura 2: Evoluzione del prezzo della granella di frumento tenero (euro/ton). Fonte: ISMEA
Figura 3: Evoluzione del prezzo della granella di mais (euro/ton). Fonte: ISMEA
Figura 4: Evoluzione del prezzo dell’orzo (euro/ton). Fonte: ISMEA

L’invasione militare russa nell’Ucraina ha ridotto sensibilmente la disponibilità di grano e orzo, due dei cereali più importanti per l’alimentazione e l’allevamento, con un forte aumento dei prezzi e rischi sempre più concreti di una crisi alimentare globale. L’Ucraina è uno dei più grandi produttori ed esportatori di grano, mentre la Russia produce una quota rilevante di fertilizzanti, che in questa fase non può esportare per le dure sanzioni economiche imposte dall’Occidente.

Un’emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese beneficiario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 13% ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano.

Una minore disponibilità di fertilizzanti avrà ulteriori ripercussioni sulla produzione a livello globale. La minore disponibilità di cereali e fertilizzanti si è riflessa sui mercati globali piuttosto velocemente. A distanza di un mese circa dall’avvio dell’invasione, il prezzo di fertilizzanti è aumentato del 40%.

L’Italia, insieme ad altri paesi, ha inoltre presentato un documento in merito all’aumento dei costi di produzione nel settore agricolo, ha sottolineato la sua posizione in merito alla revisione delle indicazioni geografiche, alla possibilità di utilizzare il digestato da biogas come fertilizzante per l’agricoltura e alla necessità di trovare alternative ai fitofarmaci per evitare di veder ridurre le quantità di prodotti agricoli.


Impatti della crisi sulla marginalità delle imprese agricole.

CREA con l’aiuto della banca dati RICA ha evidenziato le difficoltà del sistema agroalimentare italiano, alle prese con una crisi senza precedenti. La ricerca mostra gli effetti sui costi e sui risultati economici delle aziende del settore agricolo, le quali nell’anno 2022 vedranno ridursi i propri margini a causa dell’aumento dell’inflazione e dalla guerra in Ucraina. La riduzione della marginalità media delle imprese agricole se non gestita per tempo potrebbe avere ripercussioni sul livello di solvibilità aziendale.

Per le 6 voci di costo considerate: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi, l’impatto medio aziendale è di oltre 15.700 euro di aumento, ma con forti differenze, tra i settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica.

Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti (tra il 65% e il 70%), sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, seguiti dai bovini da latte (+57%). Più contenuti, invece, gli aumenti per le colture arboree agrarie e per la zootecnia estensiva. A livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole, in modo particolare per le aziende marginali.

In termini assoluti le aziende italiane potrebbero subire incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro, che sfiorano i 99.000 euro nelle aziende che allevano granivori.

In definitiva, l’attuale crisi internazionale congiunturale può determinare in un’azienda agricola su dieci (il valore medio nazionale è pari all’11%) l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito del credito. Tale percentuale era prima della crisi del tutto irrilevante, pari all’1% delle aziende RICA.

CREA stima che il 30% delle aziende su base nazionale possa avere reddito netto negativo, rispetto al 7% registrato prima dell’attuale crisi, sempre con una rilevante variabilità territoriale e di specializzazione produttiva.

Di Salvatore Abbate

Immagine in evidenza: Foto di Marek Studzinski su Unsplash

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